Critics

 Luisa Chiumenti (2023) da LIBRI EMOTIONS – ROMA WORLD:

“Io e l’arte”, il titolo di questo volume scritto da un artista, accompagnato da uno dei critici che maggiormente lo hanno affiancato nelle fasi evolutive della sua produzione artistica è davvero inusuale. Il testo infatti avvicina, più di ogni altra osservazione visiva, il visitatore di una mostra d’arte, alle opere esposte. Non si tratta soltanto del Catalogo della mostra curata da Stefania Severi e che Giulio Cavanna ha presentato recentemente negli spazi della Galleria Biblioteca Angelica di Roma, ma di una vera e propria “autobiografia”. E’ l’artista stesso che ripercorre le fasi del suo cammino creativo, e non a caso il testo si apre con la sua immagine, dinanzi al cavalletto che presenta l’opera dal titolo assai significativo “La meta”. Ed ecco che, fin dalla premessa, possiamo cogliere la passione e l’amore per la pittura a cui cominciò ad accostarsi, fin da bambino, negli anni ’50 a Genova, sua città d’origine. E nel libro ci sono tutte le emozioni di un’esistenza vissuta accanto all’arte, ma nella profonda partecipazione ad ogni circostanza davanti alla quale la vita pone in realtà ognuno di noi. E’ molto interessante e suggestiva la suddivisione in capitoli che di tutto ciò viene fatta: “La vita e il lavoro” da bambino a Gradoli, sul lago di Bolsena e poi il periodo della leva nel 1958, seguita dal periodo da sottotenente del genio trasmissioni. E ancora, di seguito, l’artista presenta al lettore i suoi cari per arrivare infine ad introdurci alla sua arte. Ed è molto giusto quanto riporta in un passo delle sue conclusioni Stefania Severi e cioè “che uno degli aspetti chiave di Cavanna” sia la sua “esigenza di racconto. E’ evidente infatti che ogni sua opera invita ad una riflessione puntuale e specifica, anche se l’artista evita di offrire soluzioni lasciando che sia il riguardante a definire in cosa consista esattamente il “quid” comunicativo”. Ed è così che, dopo alcune “Riflessioni sull’arte” il lettore può seguire i quattro periodi in cui si articola la sua produzione e si può leggere il primo periodo attraverso le parole del critico Bertrando Bigi, il secondo periodo attraverso quelle del critico Italo Evangelisti, il terzo e il quarto con il critico Stefania Severi.

Anna Maria Scheible (1977) da Aereopago Cirals.

Profilo critico. Titolo dell’opera: Primavera (monotipo) conferito alla rassegna internazionale “Omaggio a Tiziano” con la partecipazione di Augusto Giordano giornalista RAI TV 2.

Per creare sempre più vive rappresentazioni di vita e di luoghi Giulio Cavanna, con sapienti armonie di linee ed un colore controllato, pone il suo aggancio pittorico su di un linguaggio ispirato alla natura ed umano , in un continuo alternarsi tra il figurativo e l’astratto, secondo l’indagine che lui vuole evidenziare. Spontanee, uscite ad una ricca tavolozza modellata con morbidezza cromatica, si presentano le sue composizioni floreali e, come le sue vedute paesaggistiche, esprimono il mondo dell’animo artistico nell’ansiosa ricerca di una esistenza spirituale, ricca di sentimento. Eleganti nudi femminili, in contrasto ad un mondo ecologico, arido e violento, che si avvia, lentamente e inconsciamente, verso la sua rovina dove è sempre più in atto la dissacrazione dei valori umani, una visione di “Oasi serene” e rappresentata alla donna, che l’artista raffigura per meglio adeguarla al concetto di vera esistenza di vita, in composizioni che ricordano figure simboliche, antichi miti. Il colore di una tenue elicato celeste sfumato, fra misto al rosa contribuisce a aumentare la grazia dell’immagine. La fantasia dell’artista produttrice e mediatrice tra sensibilità e percepire, che non esclude una dimensione cosmica e spaziale , puntualizza il suo massimo sforzo verso un procedimento stimolante in una tensione di contenuti ricchi , assunti come gli aspetti più autentici del reale. Cavanna prosegue l’estensione del suo lavoro in maniera aperta contro la ragione repressiva, con un alternarsi i elementi analitici e psicologici, che investono le immagini con gli elementi circostanti da lui rappresentati. La sua ricerca è coadiuvata da atmosfere che ingrandiscono il tema da cui prende vita la vita, con forza melodiosa e convincente, messaggera dell’atto ella creazione divina, racchiuso nel concetto ella donna. Suggestiva e espressiva è la fervida fantasia di Gilio Cavanna con cui rielabora e rivela la sentimentale propria visione interiore che custodisce in se stesso la pennellata rende melodiosa la luca imprigiona il tema dell’esecuzione concentrando l’azione sulla sua luminosità.

Carmelo Tommaselli di Arte Club (1977)

In questa pagina proponiamo al giudizio del lettore una riproduzione in bianco e nero (peccato, fosse stata a colori) dell’opera intitolata primavera che rappresenta uno dei pezzi migliori in cui l’artista con gusto classico e figurativo, ha espresso con tonalità cupe, uno sfondo nebuloso, da cui risalta un corpo umano di donna dalle tonalità fresche e limpide che emergono dal tratto sicuro e inconfondibile della pennellata dell’autore e si pone come sorgente di una nuova luce tale da ridestare in noi quel patema d’animo insieme a quella speranza in un nuovo messaggio di vita. Senza bisogno di paroloni altosonanti, possiamo affermare che il giovane Cavanna ha una padronanza tecnica ed egli dà a ciascuna opera il meglio della propria umanità.

Questa tecnica non è, come suol essere la continua ricerca e il perfezionamento di un accademista o di uno che dipinge per mestiere o per ragionamento ,ma è una espressione artistica ben definita che al Cavanna proviene dal suo estro, perché pittori si nasce e non si diventa con l’acquisizione della tecnica stessa.

La sua soavità nelle sue rappresentazioni, gli hanno meritato il “diploma e premio profilo critico della giornalista Anna Maria Scheibler la quale, tra l’altro, ha commentato che Giulio Cavanna nelle sue impostazioni compositive l’espressione diretta dei suo stati d’animo si fonde con il taglio narrativo, spensierato e leggero velato da un sottile lirismo, da una carica giovanile e da una grazia romantica.“ Giudizio quello della Scheibler con il quale concordiamo e come, d’altra parte abbiamo calcato con parole più modeste le orme. Commento al premio “Omaggio a Tiziano”.

Bertrando Bigi da monografia “Come nasce il furore iconolatra di Giulio Cavanna un pariniano giovin signore divenuto uomo cosciente per amore delle arti” 1979.
…dopo Bonnard, nessuno più di lui ha saputo comunicare il senso di panica ebbrezza promanante da una immersione nel flusso della luce! Nessuno come lui ha dato così forma poetica ad ore anonime ma eterne, nel fatale defluire del tempo!
Il tempo edace come il fuoco si consuma senza pietà ed i poeti (da Orazio a Ovidio a Dante fino a Proust) ne sentono la fatalità e la comunicano al pittore: “Mentre parliam dileguasi / l’invidia età; a due mani / stringi ‘l dì d’oggi e credula / non aspettar domani”; “dum loquor. Hora fugit”; mentre parlo l’ora fugge; “vassene il tempo e l’uom non se ne avvede”, “trascorre tacita e ci sfugge l’alata età”.
Mentre intorno a questo fervoroso quarantenne rugge, o ringhia, o mugghia, o gracida il delirio delle nichilistiche poetiche “à la page”, egli, stimolato dalla presenza viva e corroborante del suo muliebre bea doruforema, varia nell’ambito del suo proficuo operare, i temi arcani ma ormai in lui perentori: stanze con sortilegi sottili, paesaggi occhieggianti e invadenti il chiuso, quel quid racchiuso nel tedesco “die Stille”: nel “das Stilleben” la vita silente da noi lugubremente chiamata natura morta.
E ne fuoriesce, come da frutto deiscente, una pittura confortevole, intellettualmente serena: come testimonianza di un proustiano “tempo perduto”, come un dipingere non la cosa, ma l’effetto che essa produce.
Non una poetica nuova, ma un rivisitare pittoricamente Mallarmè. Nelle stanze cavanniane a tre quinte, a tre pareti (la quarta è il mondo esterno, il “gurgite vasto” o la correntia piana), dove langue e si strugge l’ora fuggente, lo spazio interno è violato, talvolta violentato, dall’irrompere di visioni aurorali o del “tramontarsi al tardo”, che si inseriscono sopraffattori dell’intimità sino a relegarla al ruolo di deuteragonista.
La luce irrompe dalle finestre spalancate o dal proscenio della quarta parete mancante a giocare – come “alterno procurrens gurgite pontus”, come il mare che alternativamente sì avanza e si ritira sulle sinopie rivelate, sui superstiti affreschi liberati dalla prigionia degli intonachi, su encausti dalle formule misteriose, cose minime ma protagoniste di un’intimità inviolabile (“Fine di un amore”, “C’era nell’aria un cumulo di cirri”, “Ben venga maggio e il gonfalon selvaggio”, “Solarium du Orta”, “Poema paradisiaco”, “E’ la stagion che foglia e fiora”, “Fantasia ligure”).
La “Weltanschauung” di Cavanna non si vanifica in tali languori, anzi si evidenzia mediante le furibonde lotte con l’Angelo; le rivolte, le tensioni, le acrimonie che vi si consumano, i relax, gli armistizi”, “la letizia che trascende ogni dolzore” che le alimentano, non appena scoperta la filigrana della sua virile logica, cadono per “luce intellettuale, piena di letizia”, per sublimazione nella economia del suo creato artistico.
Qualche san tommaso, fruitore della logica uniforme ed ambiguamente equivoca, naturalmente rifiuterà la “sua” trasfigurazione che tanta pena gli gravò sul cuore.
Ma, paleogrecamente detto, le cose belle sono ardue (kalepà ta ksla), e chi vuol comprendere comprenda, specie quelli che approvano le canonizzazioni dei Fautrier, dei Burri, dei Rauschemberg.
Indipendentemente dal poco appreso da me e dalla moltitudine che gremisce la sua interiorità, egli svolge la sua tematica nei modi dell’elegia il cui carattere peculiare è il tono nostalgico e spleenetico, lo sfinimento del sogno dilatato sino a lontani confini. Fresche immagini malgrado i languori (peraltro virili e non wertheriani), malgrado qualche travestimento poetico e qualche inevitabile alibi sentimentale.
E’ proprio questa ininterrotta genuinità, questa freschezza della emozione a rendere attraenti i suoi modi pittorici.
Nelle sue opere c’è qualcosa nelle proiezioni verso l’esterno che richiama i precedenti remoti e prossimi (dal Dossi al Redon sino a Bonnard) e nel chiarismo certe sottolineature, che induce a ricordare (solo nella temperie) a un Lilloni, a un del Bon, a uno Spilimbergo a un De Rocchi, ma con una disposizione d’animo più controllata.
Nei “nudi” femminili, ancora ospiti non integrati almeno negli “interni”, non c’è la tenerezza di un Renoir, di uno Spadini, di un Peruzzi: c’è invece quel coagulo di forme tipico delle favole evangeliche di Giancarlo Benelli.
Quella immobilità, quel non rivelarsi appieno, nascono quasi da un calcolo mentale e non dalla sua segreta visione molto più incandescente. Quei nudi deuteragonisti sempre e non mai dominatori della sua fermentazione, un sentore di viole, di sottobosco con ciclamini.
Cavanna pittore ripercorre le tappe dell’ontogenesi, l’insieme dei processi di sviluppo, sia embrionali sia postembrionali, fino al raggiungimento dello stato adulto, con una umiltà che lo onora.
Per lui, come alla base del percorso dell’arte moderna, un dipinto è prima di tutto una superficie piana ricoperta di colori riuniti in un certo ordine.
Nel principio ci fu questo “verbo”, questo assioma pervenuto dalla Ecole de France “un surface plane recouverte de couleurs en un certain ordre assemblèes”, poi ci fu la conseguenziale opera di scavo, ci fu l’intervento della sua interiorità poi infine venne l’irresistibile esigenza di far nascere i suoi fantasmi ascoltando la sua voce segreta: un piacere dell’immaginazione, un desiderio di libertà espressiva che inducesse a trasferire sulla tela i moti dello spirito, i remoti sogni sepolti, con figure e cose che al di là della loro realtà acquistassero anche forza e parvenza di simbolo.
E, come in un ascolto di Mallarmè, la pittura si fece traslato per amore di proustiano “tempo perduto” e non fu più dipingere la cosa, ma l’effetto che da esso ne scaturiva cogliendo così la vita del suo sviluppo ma delibato a posteriori nella memoria…

Paolo Perrone Burali D’arezzo curatore del “Museo del futurismo Alberto VIviani”: “Avvicinarsi ai dipinti di Cavanna è stato come provvedersi d’ossigeno nuovo e intatto. Avvicinarsi alle opere di questo giovane pittore fino ad oggi timidamente isolato, è stato come ritrovare un momento di equilibrio nell’odierno spossante “luna park” delle arti. In che senso riequilibrio? Nel senso naturale e biologico del riaffiorare e riaffermarsi di quei luoghi primigeni della mente che il vaniloquio culturale contemporaneo quotidianamente inaridisce. Quali luoghi? Ebbene l’istinto e l’immaginazione. Che sono i luoghi eletti della personalità umana e che ormai soltanto i puri come Cavanna possono cercare e ritrovare ed offrirceli ancora.
Ma Cavanna non ricalca romanticamente e astoricamente le tavole del proscenio naturalistico: ben cosciente – da giovane di questo mondo di questo tempo – che riproporre in termini strettamente realistici l’ambiente contemporaneo, sconvolto quasi ovunque nel mondo, sarebbe operazione culturale retrodatata e vana. L’artista (almeno con una parte della sua produzione, perchè un’altra parte gravita in una sensibile e rapsodica ricerca astratta) è ancora nella natura; ancora la propone e la sostiene. Ma quale natura, se non quella del simbolo con implicazioni surreali e della liberalizzazione dell’onirico? La natura che Cavanna mostra in una sequenza ampia, musicale e serena di opere è la declinazione di tutte le aspirazioni dell’inconscio, è la rappresentazione formale e cromatica del sogno.
Attraverso grandi finestre una natura magica e misteriosa – priva d’identità realistica – s’affaccia, penetra, si effonde. Si coniuga ad un’altra magia, che è quella delle stanze – caleidoscopiche, vibranti, inedite – nelle cui pareti s’intagliano le vaste finestre. Si determina una corresponsione di poesia e di morfologia tra gli interni e gli esterni evocati da Cavanna. E un messaggio sortisce, vero e tattile. Non è quello dell’illusione della purezza; ma della purezza, decisamente. Ovvero della possibilità comunque e dovunque ed ancor oggi, che la purezza resista e vinca. Basta ricercarla con verità di spirito e limpidezza di tratti e di cromi, come fa Cavanna. L’artista mostra di credere ma non s’illude. Non ci propone – accennavo prima – un paesaggio stagnantemente riproduttore di una realtà ambientale naturale ormai violentata globalmente dall’era moderna, tranne insignificanti scampoli. Cavanna suggerisce all’uomo di oggi un microcosmo di sogno e di purificazione; ci conduce per i sentieri e sopra le balze dell’emblematico: convinto che solo contribuendo a migliorare l’uomo si potrà arginare lo smantellamento sistematico dei luoghi poetici della mente e della Terra.
Così egli dipinge a colori piani e mattinali, che sollecitano la riflessione: come sempre, del resto, quando alla neobarbarie (che dilaga nelle nazioni e nelle case di questo terminale di secolo) gli artisti rispondono con la gentilezza e con la sollecitazione vitale del colore. Ed infatti nella tavolozza Cavanna è gentile e vitale: dai rosa tenui e dai verdi pastello ecco il passaggio ora graduale ora tempestivo verso rossi e turchini, bruniti e verdi squillanti. È un mondo pittorico in cui circola aria incorrotta. Pertanto il maggiore ed il migliore augurio che è possibile fare a questo artista è che pur evolvendo, nel tempo, temi e forme, resti se stesso: cioè autentico.”
Dal saggio “Ossigeno nuovo” pubblicato sulla rivista di critica d’arte “Cultura e costume” Milano 1980

Elisa Viviani moglie del poeta e storico futurista Alberto Viviani: “..attento ad una pittura di vera scuola, in cui convivono proficuamente più istanze poetiche e passionali, Istanze che dalla visione e tradizionale si slargano a visioni oniriche e simboliche, fino ad assecondare le libertà pulsanti del segno che sovente si astrae”, (Firenze, gennaio 1980).

Saro Ocera: Il gioco dei piani, la forza dei colori, l’interpretazione della natura vista nei suoi naturali contrasti e con l’occhio di chi vuole mettere a confronto mondi profondamente diversi , quello che ci circonda e quello che ognuno si porta dentro.In questo gioco psicologico di introspezione si inserisce Giulio Cavanna con le sue opere, che spesso sono quadri in altrettanti quadri.
L’accostamento dell’interiore all’esteriore avviene su base prospettica e per nulla in punta di piedi, anzi, la scoperta del particolare è oltremodo pilotata, quasi forzata.
Vedere cosa ci offre la natura da una finestra inondata di luce potrebbe sembrare una banalità, ma è su questa precisa base prospettica che I’artista, restando ancorato al reale, al normale, spazia oltre i confini della pura e semplice raffigurazione per entrare nel mondo della introspezione psicologica ed in fondo in quella di chi si sofferma davanti alle sue opere. Indubbiamente, però, bisogna essere predisposti ed inclini a certe tematiche per assaporare appieno l’arte di Giulio Cavanna. Un’arte, per altro, che affonda le sue radici tanto in matrici europee quanto in modelli di tipo orientale.
dalla presentazione della personale registrata a Telespazio – Catanzaro 1982.

Lucio Barbera (Gazzetta del Sud): in passato la figurazione di Cavanna, che giocava su particolari impaginature, su arditi tagli prospettici e soprattutto su un mentale dialogo tra interno ed esterno, tra spazio dell’uomo e spazio della natura; in passato, dicevo, quella figurazione pur se attenta al mondo della realtà, non aveva nulla di rappresentativo o di mimetico; anzi lo stesso colore era usato in chiave antinaturalistica quasi a sottolineare il distacco delle cose. Piuttosto allora, accanto ad uno strepitoso gusto del colore, felice e squillante, di sapore matissiano, era possibile avvertire anche una componente geometrica e, seppur per brevi sintomi, nel piacere dell’arabesco che fu tipico del grande francese. Successivamente, dopo un fare che potrebbe dirsi informale in cui l’artista da un lato allenta la tensione del colore e dall’altro rompe qualunque gabbia dell’immagine, lasciando libero il gesto sulla superficie, accade che la figurazione ormai scordata si ricordi di qualche suo precedente elemento; l’immagine si ricompone, e l’artista romano dall’informale passa alla forma. Siamo già sul terreno dell’astrazione, condita con un certo gusto decorativo, ma nell’impianto, che si avvale sempre di colori squillanti, circola ancora una certa aria di provenienza naturale. È come se l’artista trasfigurasse non più la natura, il paesaggio, i fiori od altri elementi del reale, ma di tutto, il loro sogno. Il passaggio successivo è di estrema coerenza. Liberatosi dall’immagine e passato alla forma autonoma, l’artista ha privilegiato un altro sintomo presente nella sua esperienza pittorica: voglio dire la tentazione geometrica, la ricerca dell’ordine e della pulizia. Ed ecco che la forma da libera che era, con strizzate d’occhio, come si è detto, ad un certo piacere decorativo ed anche liberty, si irrigidisce, chiude i suoi confini e si combina quasi sotto l’aspetto del puzzle. La pittura ora esibisce null’altro che se stessa ed i colori, dosati in armonia dentro zone ben definite, dialogano tra di loro come nessuna altra voce è capace di fare.
Dall’immagine alla forma saggio critico 1990.

Italo Evangelisti critico e poeta fondatore della collana “La luna storta” (1992)
“C’è un’intuizione provvidenziale nella magia dei refusi, nella partitura di crome e biscrome che aprono sonore fenditure nell’ordito della suggestiva anarchia compositiva e sanzionano l’ordine sotterraneo e più vero della pittura di Giulio Cavanna: scoprire e, se necessario, inventare le regole della sfida fra arte e senso della vita.
In quest’ottica, le sue presunte e, a volte , denunciate “diversità” servono per declinare il presente di una felicità espressiva che vive dell’irrequieto pulsare dei piu segreti mots du coeur.
Cavanna governa la barca della sua ispirazione come uno skipper da america cup: prima lasciando che il vento teso dei suoi colori squillanti e puri vibri nella vela della tela e quando le onde gonfiano in superficie un rutilante magma di forme e volumi, li ritaglia in magici cerchi di bonaccia, li imbriglia dentro i moli di una rigorosa geometria.
Qui sta il segreto fascino di queste composizioni tutte giocate sulla sintesi tenacemente perseguita tra la piena dei sentimenti e le norme severe del dipingere.
Il risultato, nelle prove più riuscite, come ad esempio nelle “figure euritmiche” o nel “chiacchierio”, ci dà un equilibrio sospeso tra luce e costruzione dello spazio per il tramite cromatico, l’accensione della superficie priva di chiaroscuro , l’icastica decantazione dei segni con una piena corrispondenza tra suggestione emozionale e ordine interno.
Potremmo parlare, come per Matisse, di “un sensualismo dinamico, disciplinato per sintesi, per condensazione delle sensazioni e sottoposto all’economia strutturale del dipinto”, oppure di quella “pura armonia che si fa spazio spirituale”, ma il fatto è che in Cavanna la solare avventura del raccontare il mondo sta tutta dentro questa crisi di fine millennio che esige uno spessore di consapevolezza altra dall’abbandono, che pure sarebbe naturale , alla deriva lirica della fantasia.
Subentra perciò una coerenza stilistica che si concentra in rigore geometrico non suggerito da una postulazione compositiva ma reclamato da una esigenza etica che si fa iconografia dell’inconscio.
E’ cosi che il dinamismo cromatico, disancorato da ogni istintualità naturalistica, alimenta questa pittura secondo emergenze sintattiche che incorniciano e scontornano; di volta in volta governate da una forza centripeta o centrifuga rispetto al nocciolo attorno a cui si organizza la modulazione razionale delle forme. L’assiomatica nomenclatura grafica che Cavanna esibisce è, in questo senso, lo strumento privilegiato per liberarsi da ogni tentazione descrittiva come da ogni staticità rappresentativa, scatenando all’interno dei quadri la scansione dinamica delle sue pulsioni, l’esplosione dionistica del colore.
Queste geometrie sono in sostanza orfiche e non cartesiane e assolvono così ad una funzione psicoterapeutica, nel senso cioè di sanare la devianza descrittivo-romantica, che ancora riaffiora in certe visioni e citazioni ideologiche, non rimuovendola ma superandola con l’assunzione del ritmo quale generatore d’immagini. Ne scaturisce spesso una tensione che vive una felice stagione creativa nei cavalli a dondolo ruotanti attorno ad un giallo quadrato magico baricentro di una giostra di fantasia ludica.
Candindamente bambina nell’accezione picassiana, oppure nelle scariche adrenaliniche di pinne acuminate, tesi triangoli di vele, rondini svirgolanti in spazi senz’aria.
Compassi di luna per ponti a squadra su improbabili fiumi-cascate: e ancora nelle architetture di vuote occhiaie ad arco dove il funzionalismo terremotato esplode fin quasi ad esorbitare dalla campitura prospettica esorcizzando ironicamente la citazione raffinata del De Chirico di “piazza d’Italia” che funziona proprio per il principio di attrazione degli opposti.
Del resto Cavanna sa bene come tutta una lunga stagione dell’arte europea abbia postulato l’identità fra spazio, realtà e coscienza e perciò fa la sua scelta: parte dalle cose e le risolve dissolvendole nella organizzazione geometrica che diventa cosi lo spazio del quadro.
Ecco come, fra Matisse e Turcato, viene fuori il Cavanna di questi anni densi di una pittura finalmente emancipata e sedimentata da una maturazione espressiva che si afferma come poesia delle forme, facendosi mediazione plastica del paesaggio dall’esperienza alla coscienza.”
Italo Evangelisti, Roma 28 Aprile 1992

Cinzia Cozzolino (TG1 1992): “Le forme come pretesto per giocare con i colori, in un insieme solare, rassicurante, luminoso. E’ la pittura di Giulio Cavanna in bilico tra astrazione e figurazione, pervasa da una sottile vena di magia. Questo giovane artista genovese che lascia spazio all’istinto e alla immaginazione, sembra partire da una realtà naturale per creare con le sue immagini sottili, ma tangibili legami tra memorie e presagi.” 1992

Augusto Giordano (GR2 1991): “..E’ bello invece scoprire un artista non raccomandato che si raccomanda da sé, dipingendo questi passi di poesia come se fosse uno bacchetta magica di un direttore d’orchestra, con i colori, e riuscendo a fermare ed a firmare sulla tela dei momenti di un io veramente profondo … e allora amici passate parola che un uomo di cultura, un compositore, un poeta, perché poesia è, è stato come dicevo prima al Maestro Cavanna processo progresso, un inizio che si è trasformato e che continua a camminare evidenziando questo tipo di arte, e l’altra che vediamo, dove personaggi e tende e finestre fanno vedere quello che c’è al di fuori del suo pensiero, non per lui, ma per la cultura con la C maiuscola di oggi” (dalla presentazione dello Personale ”Arte in Galleria” – Roma 1991).

Angela Ciano “Sipario” l’Aquila 1994: “Alla mostra allestita nella Sala Chierici, sempre al Forte Spagnolo, arrivati si rimane come abbagliati dalla esuberanza dal colore di questi dipinti. La personale di Giulio Cavanna è una festa cromatica, predominano le tinte accese e squillanti che producono una pittura serena e allegra. Sono opere dalla solida costruzione prospettica che evocano interni dal vago sapore neo- impressionista oppure sono dipinti che creano calbrate astrazioni, queste danno vita a forti geometrie dove si rivela una ricerca di ordine e pulizia. La forma, prima libera e piacevolmente decorativa ora si irrigidisce si chiude e si combina come se fosse un puzzle dove ogni tassello è una zona di colore puro e acceso.”

Italo Evangelisti “singolare plurale” (1997): “è salto di cornice in cornice, ritrovando il gioco colorato ad incastri con cui Giulio Cavanna quasi non ce la fa a trattenere dentro i confini del quadro quelle illuminazioni della fantasia ché illudono a paesaggi il compito di cogliere dentro la trasfigurazione onirica, l’evidenza del segno e il suo resistere alla sirena simbolica con la razionalità di una vibrazione pittorica governata e invasiva come una partitura musicale.”

Italo Evangelisti “poesia delle forme” (2001): “in dirittura di arrivo, si presenta l’informale puro dell’ultimo Giulio Cavanna praticato non tanto come espressionismo cromatico che baipassa la vacanza del segno, né come gestualità surrettizia dell’ordine compositivo, ma quale naturale sblocco ad una pregnanza espressiva raggiunta attraverso quella che, a suo tempo , nel presentare la sua bella personale “Poesia delle forme”, ho evocato come..”provvidenziale intuizione nella magia dei refusi, nella partitura di crome e biscrome che aprono sonore fenditure nell’ordito sotterraneo e più vero della pittura di Giulio Cavanna.”
Bene, quella intuizione, mi pare, sia stata veramente provvidenziale, abbia lavorato in profondità passando attraverso quelle sonore fenditure e regalandoci oggi questa dissoluzione della forma in una materia che, per strati di incandescente panico cromatico, sale dal profondo agli occhi nutrendo lo sguardo di uno spessore emozionale, in un coinvolgimento che rende alleati sensi e ragione.
è una pittura che coniuga siintesi e abbandono servendosi di una rigorosa intelaiatura che governa lo scatto energetico in un equilibrio di grande tensione compositiva. Cavanna espone cosi un nuovo e ricco statuto stilistico, quale precisa garanzia di futuribile evoluzione.”
dal saggio “futuribile” 2001

Stefania Severi “fuoco, terra, acqua e aria” (2003): “…le sue opere sono tecniche miste in cui sono presenti accanto ai colori naturali, materiali vari, alcuni dei quali residui tecnologicamente avanzati. Per quanto riguarda il problema dell’inquinamento bisogna quindi che proprio all’interno delle tecnologie avanzate e dei materiali sintetici da esse prodotti si trovi la risposta ai problemi. …”

Italo Evangelisti, poeta e critico: “Volete un termine di paragone non sul piano del valore estetico. sia chiaro, ma solo per cogliere la drammaticità dell’oggi visivamente rappresentata da Giulio Cavanna rispetto al passato?
Bene. Pensate soltanto un momento aIl’a|legoria del fuoco di Bruegel il Vecchio. A fronte della drammaticità del moderno quel capolavoro mi appare come una stupenda quinta di teatro dove il dramma viene rappresentato ma non disperatamente patito. E. persino.”The Flame” di Pollock secondo me, visto nella luce cupa dei giomi nostri. non brucia più abbastanza. Forse. bisogna arrivare ai “sacchi” di Burri per cogliere lo stesso clima che si ritrova in Giulio Cavanna, dove quella tela si è fatta terra. Terra troppo a lungo dissodata dal dolore per essere ancora madre-fanrlce di frutti e speranze. Guardare quella ferita aperta e brulicante di materia viva e rossa cui l’acqua.non riesce a dare sollievo. Nè l’aria densa di miasmi riesce a fare di meglio. E’ una piaga cancerosa che il fuoco può cauterizzare in grineose escrescenze ma non curare. Il rosso vivo di questo fuoco non purifica ma raggruma sulla tela il male di vivere. Non c’è una ecologia dell’immagine che riscatti questo dolore ma. forse. proprio questa inesorabile rappresentazione di una processualità distruttiva della natura postula, con la stessa intensità. il suo contrario: apre, cioè, alla possibilità e necessità deIl’agire e reagire attivando una processualità del fare nella vita e nell’arte…”
dal saggio “fuoco, terra, acqua e aria” 2003

Vito Tripi: “Giulio Cavanna è un genovese romano, comunque un genovese naturalizzato romano, che trova nell’astrattismo la sua vera espressione. I suoi quadri sono forti, intensi e mi soffermo su 3 quadri in particolare: il primo si chiama “presenze” è su sfondo azzurrino e verde con questa figura che si vede nel centro che potrebbe sembrare un volto, un volto rarefatto, un volto etereo che può sembrare quasi spiritato appunto, da qui il termine ”presenze” che lascia questo senso quasi di surrealità a chi lo osserva.
Un altro quadro che è quello poi, in un certo senso, a sfondo religioso che correndo verso la luce, la speranza e la redenzione in cui c’è una grossa sfera argentata nella quale appunto si vedono delle persone che corrono, quindi proprio come un senso di correre, come dice il titolo, verso un mondo di luce, un mondo di speranza, visto che anche il resto del quadro ha degli sfondi cupi di un rosso acceso con delle tonalità verso il nero quindi che tendono proprio ad una corsa verso la speranza, una corsa verso l’alto, una corsa anche verso la redenzione.
L’altra opera è banchina nel porto , che forse è l’unica opera che tende a riportare qualcosa che non sia eccessivamente astratta. Effettivamente abbiamo su questo sfondo marrone a tratti rosato questo spazio che ricorda proprio una banchina di un porto sotto il cielo. Quindi dà un immagine quasi più figurativa rispetto alle altre opere.”
da radio Vaticana Crocevia della bellezza 2012

Stefania Severi (2013): “Colore, Forma, Materia” è il titolo che Giulio Cavanna ha voluto dare non tanto ad una mostra di sue opere, quanto alla sua più recente produzione, così da favorirne l’iniziale decodificazione. Tale sottolineatura, puntualmente circostanziata in un suo scritto, costituisce l’arrivo del suo percorso creativo e l’inizio di quello dell°osservatore. E’ evidente, infatti, che è il colore che primo emoziona, anche in termini di psicologia della visione, per accompagnare poi lo sguardo ad individuare la forma ed a scoprire l’eventuale presenza di elementi materici.
Come critico, invece, il mio compito è individuare come Cavanna sia giunto a tali esiti.
Egli è pittore da sempre, anche se ha intensificato l’attivìtà artistica proprio nell°ultimo decennio, epoca a cui risalgono quasi tutte le opere che egli espone. La sua prima personale, nel Palazzo di Città di Cefalù, risale al 1979, cui sono seguite, nel 1982 nella Sala Mostra di Catanzaro, nel 1991 nella Galleria Arte in Galleria di Roma e nel 1992 nella Galleria Il Saggiatore di Roma. Ma proprio in quest’ultima esposizione, che fu presentata da Italo Evangelisti, il linguaggio dell”artista era mutato. La sua pittura era infatti all’inizio definibile genericamente come “figurativa”, ma emergeva un interesse specifico per la dialettica degli spazi, ben individuabile alla base di un ampio ciclo dedicato alle “stanze”, stanze a tre pareti, con la quarta costituita dal mondo dell’osservatore, in cui si materializzavano epifanie di sogni, di desideri, di ricordi, di emozioni anche letterarie. “Stanze cavanniane” le aveva definite Bertrando Bigi (1979) sottolineandone la peculiarità. Ma nella mostra del 1992, dal titolo “Poesia delle forme”, il già rarefatto spazio delle stanze perdeva la sua tridimensionalità abbandonandosi alla libera composizione di piani cromaticamente variati. Scriveva acutamente Evangelisti: «queste geometrie sono in sostanza orfiche e non cartesiane››.
Una ulteriore importante tappa è stata poi la mostra, al Forte Spagnolo dell’Aquila, dal titolo “Figurazione Astrazione” (1994), in cui veniva nuovamente sottolineato il passaggio verso il linguaggio aniconico. In questo passaggio a restare sostanzialmente invariati, nei timbri e nelle tonalità, erano i colori, squillanti, intrisi di luce, che molti critici hanno avvicinato a quelli di Matisse.
Tra le principali successive presenze espositive ricordiamo la personale omaggio a Genova, nel 2004 capitale europea della cultura, presso lo studio il Coro dei Troni di Genova, un omaggio non di circostanza ma particolarmente sentito in quanto l’artista è nato nel capoluogo ligtue, dove è
vissuto a lungo prima di trasferirsi a Roma città in cui attualmente vive e lavora.
L’ultima, in ordine di tempo, personale di Cavanna è stata alla Galleria Il Saggiatore di Roma (2012). E’ indubbio che il nuovo secolo ha portato notevoli cambiamenti nell’opera di Cavanna, ma anche in questo caso si tratta di un processo evolutivo e non di una frattura col passato. Infatti, il fine ultimo di ogni composizione era ed è, per il pittore, emozionare e far lavorare l’immaginazione dell’osservatore grazie allo stimolo degli elementi che costituiscono l’opera. Come la stanza – penso ad esempio a “Fine di un amore” – invita, nel silenzio degli oggetti, a percepire l’assenza, e come “Chiacchierio” induce a cogliere il rimbalzare delle voci nell’andamento discontinuo delle superfici dai toni e dalle forme variate, così “Forra”, del 2012, produce una forte sensazione di vuoto, di mancamento e di caduta in Lui intrigo periglioso. In quest’ultima opera raggiunta dell’elemento materioo sottolinea il messaggio che forma e colore anticipano, così da ottenere un risultato più coinvolgente, per provocare quelle che l’artista definisce “tempeste emotive”.
è evidente che nella prima e seconda fase dell’opera di Cavanna i riferimenti sono alla Metafisica e alla Neo figurazione fino all’Astrattismo Lirico, correnti artistiche della prima metà del Novecento, con diramazioni nella seconda metà del secolo. Nell’ultima fase, invece, egli ha riguardato all’ lnformale e all’Arte Povera, fenomeni tipici della seconda metà del Novecento e tutt’ora vivi.
Questo sta a testimoniare che l’artista è perfettamente inserito nell’alveo della contemporaneità con discernimento e consapevolezza. Del resto, come affermava Joseph Kosuth (1985) «Non c’è un momento giusto o un momento non giusto per essere artista. Il materiale dell’artista è sopra ogni altra cosa, il momento storico in cui vive, e la cultura che forma lui e il momento». Nelle opere degli anni Duemila, Cavanna recupera l’iniziale terza dimensione ma non l’affida più all’illusionismo prospettico bensì alla materia, che è essa stessa elemento emergente. Gli elementi materici scelti da Cavanna sono “scarti” del quotidiano, ma volutamente attinenti all’ambito dell’alta tecnologia, quindi alieni dal contesto estetico. Eppure essi rivivono proprio in termini di entità estetiche, inducendo a riflessioni che spaziano dal concetto di riciclo a quello del dominio delle tecnologie fino al riscatto di tali tecnologie in chiave umanistica. Ecco opere come “Origine di vita” (2003), “Cornucopia spaziale “ (2010) e “Nel parco” (2012) in cui la presenza materica assume un ruolo preciso nell’economia dell’insieme. Ed ecco opere come “Groviglio” (2003), “Licheni” (2003), “Trame” (2004) e “Brughiera” (2004) in cui l’elemento materico si fonde con la pittura per restituirci forme fortemente evocative, esaltate da una cromia intensa ed essenziale, talvolta monocromatica, resa però viva e vibrante dai lievi oggetti materici.
Giulio Cavanna dimostra, con l’approdo odierno, di aver attraversato con coscienza e cognizione i repertori dell’arte della sua epoca, rimanendo però sempre se stesso, lontano da qualsiasi piaggeria e da qualsiasi atteggiamento di sudditanza. La sua opera è perfettamente contestualizzata in un espressionismo il cui fine è la visione etica del fare artistico in un’ottica di recupero della dimensione umana della vita. Egli rivendica all’arte la facoltà, tutta umana, di emozionare e con la sua opera mira a tale coinvolgimento… ed opere come “Il segno del tempo” (2004), “Notturno infuocato” (2010) e “Dolce abbandono” (2012) provocano proprio quelle intense sensazioni che egli qualifica come “tempeste emotive”.

Rita Cavanna (2013) “Colore, forma, materia”
Colore, forma, materia per accompagnare lo spettatore verso l’istinto e l’immaginazione, luoghi eletti della personalità umana, promuovendo tempeste emotive. IL COLORE, utilizzato nelle sue tinte pure e squillanti, è lo strumento sublime e prezioso, carico di vibrante potenza, attraverso il quale viene declinato il presente di una felicità espressiva che vive dell’irrequieto pulsare dei più segreti mots-du-coeur. LA FORMA, significante del colore e delle emozioni, è composta a volte da linee morbide che ricordano il fiume dei ricordi, tangibili legami tra memorie e presagi; a volte dalla suggestiva anarchia compositiva, partorita dalla continua sperimentazione nella quale è proiettata la continua ricerca e conoscenza di sè nelle fragilità e nelle reazioni emotive ai problemi del quotidiano. LA MATERIA, sodalizio con il presente per non alienasi dal tempo storico in cui si vive, anche quando l’anima fugge bisognosa di intraprendere viaggi introspettivi profondi. Venogno utilizzati a questo scopo materiali di residui tecnologicamente avanzati.

Stefania Severi (2015) “Metamorfosi dell’oggetto” :Giulio Cavanna da anni ci ha abituato a confrontarci con la sua opera pensosa. Fin dai dipinti figurativi, caratterizzati da interni spazialmente definiti in cui perdersi alla ricerca di un significante che non poteva che essere interiore, coincidendo il vuoto con la presenza del sé mentale, l’artista invitava il fruitore ad un colloquio serrato con l’opera. Tale invito è andato ulteriormente intensificandosi quando l’artista ha iniziato ad utilizzare la tecnica del collage. E’ evidente infatti che l’osservatore, dopo aver considerato l’opera nel suo insieme, è stimolato ad individuarne le varie componenti in un gioco di svelamento destrutturante che implica ulteriori riflessioni.
Le ultime opere di Giulio Cavanna sono caratterizzate dall’inserimento di materiali vari, soprattutto scarti industriali, che, nell’economia dell’insieme caratterizzato da forte cromatismo, subiscono un completo processo di metamorfosi. Questi oggetti di scarto recuperano funzionalità e si aprono ad una vita nuova, quella che l’artista ha scelto per loro. Il messaggio ha pertanto profonde radici etiche.
Spicca tra gli ultimi lavori il “Trittico dell’isola” tre dipinti, concepiti come ciclo unitario ma fruibili anche separatamente, in cui l’attenzione dell’artista è sul concetto di isola, come entità compiuta in se stessa, che si fa metafora di luogo d’approdo dove consistere sfuggendo a ciò che ci circonda e che tenta di soffocarci.
Ecco pertanto che Cavanna ci induce nuovamente alla riflessione sul concetto di metamorfosi che qui assume connotati particolarissimi e che è il caso di analizzare singolarmente, partendo forse dall’opera più dinamica tra quelle del 2014/15 e che, non a caso, ha il titolo di “Esplosione gioiosa”. Anche il titolo implica un concetto di metamorfosi poiché l’idea di esplosione, di per sé negativa, coniugata con l’aggettivo positivo si fa oggettivazione di forza vitale. Qui l’esplosione gioiosa si riferisce al ruolo che l’arte continua, nonostante tutto, ad assolvere e che consiste nel creare quella bellezza che ci salverà. “Super Nova”, caratterizzata da un intenso cromatismo di tonalità calde, è anch’essa un’opera che ci vuole comunicare un sentimento di positività; potremmo quasi dedurne che l’universo sarà sempre bello e vitale… nonostante l’uomo. “Il tramonto della cometa” volge in positivo l’idea negativa di tramonto, come caduta e sparizione, in quanto in questo caso implica la trasformazione dell’elemento incandescente in elemento solido, una ulteriore metamorfosi.
Ma torniamo alle nostre tre isole, precedentemente citate. Queste isole appartengono a tre mondi diversi: la terra, il fuoco e lo spazio. La prima, “Isola nel fiume”, è chiaramente un omaggio alla nostra Terra che è vista in un armonico equilibrio di elementi, dove i campi coltivati si alimentano dell’acqua del fiume e dove l’uomo si riserva una parte, un’isola appunto, dove consistere, una parte non invasiva ma rispettosa dell’equilibrio dei vari elementi. “Isola nel magma” allude alla capacità che ha la Terra di rinnovarsi in continuo; anche in una condizione di distruzione, come è quella eruttiva, sappiamo che quando la lava si solidifica è destinata a diventare nel tempo luogo fiorente come testimonia la storia di tanti nostri arcipelaghi. “Isola lunare” è un miraggio, è il coronamento del sogno dell’uomo di conquistare lo spazio; quando l’uomo riuscirà a popolare la sua isola lunare, l’evento evidenzierà che l’intelligenza umana sarà riuscita a superare limiti che ancora la condizionano. Il trittico delle isole è pertanto un trittico che esplicita una visione positiva della vita.
Del resto è positivo in sé il concetto di metamorfosi che qui parte tecnicamente dallo scarto industriale che diventa altro, cambia la propria funzione e cambia la propria memoria originaria per assumere nuove memorie, quelle che l’arte gli dona. Ampliando il concetto, tutti noi siamo un po’ come quegli oggetti: qualunque sia il nostro ruolo nella società, fermandoci ed entrando in dialogo con l’opera d’arte, qualcosa in noi cambierà.

Maria Pia Micheletto: Video-recensione della mostra “Giulio Cavanna, Opere a confronto” presso la galleria “Il Saggiatore”; video visibile cliccando QUI.

Stefania Severi (2016) “Dal linguaggio iconico al linguaggio aniconico”: Giulio Cavanna è un serio e bravo artista. Tali attributi di serietà e di bravura scaturiscono dalla mia frequentazione con la sua opera che data agli anni Novanta dello scorso secolo. Ho iniziato a seguirne il percorso in occasione delle numerose presenze, in collettive ed in personali, nella Galleria d’Arte Il Saggiatore di Roma, una galleria storica, oggi sfortunatamente scomparsa come tante altre, nella “mitica” via Margutta. Sono poi seguite le presentazioni in catalogo, nel 2013 per la mostra “Colore Forma Materia”, presso il Centro Culturale Comunale Elsa Morante di Roma, e nella primavera 2015 per la mo- stra “Metamorfosi dell’oggetto”, presso il Centro Culturale Comunale Aldo Fabrizi di Roma. Negli anni la mia conoscenza dell’artista e della sua opera è andata viepiù arricchendosi di indispensabili tasselli che mi consentono ora di formulare il positivo giudizio di serietà e bravura. Forse la serietà non è termine che si addice all’arte ma io definisco un artista serio quello che ha fatto della pratica artistica una ricerca continua. Tale sottolineatura è doverosa in quanto chi riguarda all’ultima produzione dell’artista, trovandovi un linguaggio polimaterico nella tecnica ed astratto nella forma, potrebbe essere indotto a pensare che tale espressione d’arte, pur richiedendo creatività, non implichi necessariamente uno studio propedeutico. In realtà, anche, e direi soprattutto, quest’ultima produzione, che ha inizio nella seconda decade di questo secolo, evidenzia, ad una analisi più accurata, degli equilibri compositivi e delle relazioni tonali che sono frutto di complesse meditazioni pregresse: sia sul piano esecutivo sia sotto il profilo concettuale nulla è lasciato al caso ed anche il più piccolo elemento assume ben precisi valori di forma e di contenuto. Ecco dunque che tracciare una linea conoscitiva, in questa attività artistica che si consolida negli anni Settanta del secolo scorso, dopo un decennio circa di formazione propedeutica presso vari maestri, è doverosa anche perché scandisce, con i suoi cambiamenti, quelli che sono stati i muta- menti della nostra società. Gli esordi di Cavanna sono nella figurazione l’essere approdato a forme aniconiche è pertanto una scelta maturata negli anni. Questo lo pone nella stessa linea di ricerca che è stata di tanti padri della Astrazione, a cominciare proprio da Wassily Kandinsky, i cui dipinti giovanili sono costituiti da paesaggi. Il suo primo critico “ufficiale”, Bertrando Bigi, scriveva nel 1979 che l’artista: «…ha messo sotto il suo precoce istinto pittorico una notevole cultura tale da sembrare come lo sviluppo criti- co di un altro remoto discorso, magari iniziato all’insegna della pittura pompeiana romana (di Ercolano e di Stabia) per concludersi in certi risvolti della École de France (e può essere come un certo Matisse, con certe abbacinate estasi di radice bonnardiana, con impaginazioni di colori alla nabis).» Già Bigi, da critico attento, aveva sottolineato che quella produzione, che all’epo- ca era costituita prevalentemente dalla raffigurazione di interni, posti spesso in relazione con spazi esterni fruiti attraverso aperture, aveva una storia “antica” ed era caratterizzata da una tendenza al calligrafismo e da una cromia squillante, frutto di uno studio approfondito dell’arte degli anni appena trascorsi. Ai riferimenti citati aggiungerei lo studio della Metafisica ed in particolare di una certa spazialità tipica di Alberto Savinio. E con tale osservazione entro in un altro degli aspetti chiave dell’arte di Cavanna, la sua esigenza di racconto. E’ evidente, infatti, che ogni sua opera invita ad una riflessione puntuale e specifica, anche se l’artista evita di offrire solu- zioni lasciando che sia il riguardante a definire in cosa consista esattamente il “quid” comunicativo. Ma che di una comunicazione si tratti è indubbio, se non altro dai numerosi interrogativi che l’immagine suscita. Ciò è evidente nel dipinto “Veduta sul lago” (1979) in cui interno ed esterno si completano in relazione cromatica e le linee prospettiche non seguono la logica matematica ma si affidano alla logica del sogno. Paesaggio e ambiente architettonico si fanno l’uno prosecuzione dell’altro ed uno immagine dell’altro alla ricerca di una totalità in cui l’uomo possa contestualmente sentirsi protetto ma anche immerso nella natura. Negli anni Ottanta Cavanna lascia progressivamente il linguaggio iconico per attestarsi su una ricerca di forme-colori in cui l’elemento grafico tende ad identificarsi con quello cromatico nella costante ricerca di una sintesi. Scrive nel 1992 Italo Evangelisti, critico che ha seguito a lungo e con intelligenza il lavoro dell’artista: «… Cavanna governa la barca della sua ispirazione come uno skipper da america cup: prima lasciando che il vento teso dei suoi colori squillanti e puri vibri nella vela della tela e quando le onde gonfiano in superficie un rutilante magma di forme e volumi, li ritaglia in magici cerchi di bonaccia, li imbriglia entro i moli di una rigorosa geometria. Qui sta il segreto fascino di queste composizioni tutte giocate sulla sintesi tenacemente perseguita tra la piena dei sentimenti e le norme severe del dipingere…». Cavanna, infatti, non ha mai concepito queste sue opere “astratte” come mera ri- cerca formale; per lui la relazione forma-colore è sempre evocativa di stati d’animo e situazioni esistenziali, ed anche in opere “Figure Euritmiche 3” (1991), dove anche il titolo potrebbe far pensare ad una esclusiva analisi musicale-visiva, si tratta in realtà di una ricerca che intende focalizzare un equilibrio interiore. Ancora una volta l’artista lascia all’opera il compito di mandare messaggi e di suscitare interrogativi. Negli anni Duemila la pittura di Cavanna accoglie la materia, in un primo tempo con discrezio- ne, con ricerche di lievi effetti ottenuti con colle, pigmenti, gesso e quant’altro al fine di conferire al singolo colore una maggiore capacità comunicativa attraverso il variare degli spessori. E’ indubbia una certa influenza dell’Informale ma oserei dire un Informale alla rovescia, cioè non un esito casuale determinato dalla trasformazione della materia tramite il libero gesto dell’ar- tista, bensì è il gesto dell’artista, puntualmente indirizzato, a definire nei minimi particolari l’e- sito che la materia deve raggiungere. La ricerca sulla materia si è fatta nel tempo sem- pre più approfondita fino al collage di materiali di scarto abbinati al colore. E’ questa la produzione di questo primo quinquennio degli anni Dieci del nostro secolo e che d’ultimo sembra si stia esaurendo per dare spazio ad una nuova ricerca. Nel frattempo l’artista ha dato uno sguardo alla materia anche in chiave tridimensionale e ne sono nate alcune sculture tra le quali emer- ge la scultura in ferro “Il segno del tempo”, focalizzata sul concetto eracliteo del “tutto scorre”. Analizziamo questi lavori che presentano superfici di tela sulle quali gli elementi pittorici “classici” convivono e si relazionano con mate- riali d’alta tecnologia che pertanto risultano metamorfizzati, assumendo valori diversi da quelli che avevano inizialmente. Ancora una volta gli esiti non sono mai esclusivamente estetici ma, in senso etico, sottolineano la possibilità che ha la creatività di utilizzare lo “scarto” così da conferirgli una nuova vita. Ma il discorso va ancora oltre proprio in riferimento alla tipologia del materiale prescelto, questo infatti, sottratto all’uso originario d’alto profilo tecnologico-scientifico, diventa elemento al servizio della visione umanistica della vita. L’artista, attraverso queste opere, ci rivolge anche un monito: l’umanità non deve diventare schiava della tecnologia, come purtroppo d’ultimo in più circostanze si verifi- ca, perché la tecnologia deve sempre essere al servizio dello spirito. Emblematico di questo ultimo percorso è “Il tramonto della cometa”, una tecnica mista su tela del 2014. La composizione suggerisce un dialogo serrato tra vita e morte sottolineato dal colore caldo del giallo-arancio e del rosso in relazione al blu cupo ed al nero. L’equilibrio compositivo è notevole nella ripartizione armonica delle spaziature e nel rincorrersi euritmico delle forme. L’identità forma colore è perfetta nelle campiture che definiscono gli spazi e negli elementi resi dai materiali tecnologicamente avanzati. Il tutto sembra implodere in quell’idea di “buco nero” che tutto assorbe per restituirlo in un oltre ed in un altrove. La tragedia della cometa si consuma davanti ai nostri occhi ma non lascia un vuoto, lascia un altro da sé che è vita. La visione di Cavanna, infatti, pur consapevole della negatività, lascia sempre aperto uno spiraglio alla speranza, ognora presente in tutti i suoi lavori.

Luisa Chiumenti (2016) da emotionsmagazine.com: Giulio Cavanna: una mostra a Roma alla Biblioteca Angelica.
Dal linguaggio iconico al linguaggio aniconico. A cura di Stefania Severi, è stata allestita recentemente in Roma, presso la Biblioteca Angelica, l ‘esposizione dal titolo “Giulio Cavanna : Dal linguaggio iconico al linguaggio aniconico”. L’artista, nato a Genova da padre smirniota di origine piemontese e madre calabra, dopo aver vissuto per dodici anni a Genova, trovò la sua sede privilegiata in Roma dove tuttora vive e lavora. Egli si presenta al pubblico con “un’arte nuova e tradizionale” , come annota Giuliana Govoni Bravetti, “dalle apparenze così arcane, occhieggiante tra giunchi di luci e di penombre che nello spazio vivono e fiammeggiano”. Proficuo e determinante appare il suo incontro con il critico d’arte e talent-scout Bertrando Bigi, il quale ha messo in evidenza il suo straordinario talento di autodidatta, cultura, metodo ed orientamenti, inserendolo autorevolmente in ludi pittorici nazionali ed esteri. Significativo per ben comprendere l’arte di Cavanna è quanto scrive Paolo Perrone Burali D’Arezzo, direttore del museo “Alberto Viviani” di Firenze: “…avvicnarsi ai dipinti di Cavanna è stato come provvedersi d’ossigeno nuovo e intatto.Avvicinarsi alle opere di questo giovane pittore fino ad oggi timidamente isolato, è stato come ritrovare un momento di equilibrio nell’odierno spossante “luna park” delle arti”….riequilibrio nel senso naturale e biologico del riaffiorare e riaffermarsi di quei luoghi primigeni dell’ambiente che il vaniloquio culturale contemporaneo quotidianamente inaridisce”…”la natura che Cavanna mostra in una sequenza ampia, musicale e serena di opere è la declinazione di tutte le aspirazioni dell’inconscio è la rappresentazione formale e cromatica del sogno”. Ma come ci suggerisce Stefania Severi, curatrice dell’attuale mostra, sembra che il pittore, con la sua arte, ci rivolga un monito: “l’umanità non deve diventare schiava della tecnologia come purtroppo d’ultimo, in più circostanze si verifica, perché la tecnologia deve sempre essere al servizio dello spirito. Emblematico, al riguardo il lavoro dal titolo “Il tramonto della cometa” , una tecnica mista su tela del 2014. Vi appare un “dialogo serrato fra vita e morte sottolineato dal colore caldo del giallo-arancio e del rosso in relazione al blu cupo ed al nero.Concludiamo sottolineando come la visione di Cavanna , come sottolinea sempre la Severi, “lasci sempre uno spiraglio alla speranza”, sempre presente in tutti i suoi lavori. Numerose le mostre sia personali che collettive (fra esse ne ricordiamo alcune: La Personale “Opere a Confronto” a cura di Carla Gugi alla Galleria Il Saggiatore. Roma Marzo 2012; la mostra espositiva “Gran Bazaar” di artisti contemporanei galleria Il Saggiatore via Margutta Roma dicembre 2011 gennaio 2012; la Personale “Opere a confronto” a cura di Carla Gugi alla Galleria Il Saggiatore Roma marzo 2012; Quadri in mostra permanente presso lo Studio il Coro dei Troni. Genova dal 2004 al 2012; Personale omaggio a Genova Capitale Europea della cultura. Studio il Coro dei Troni. Genova 2004; Fuoco, terra,acqua, quasi un elegia Galleria Il Saggiatore. Roma 2003; Piccolo Formato presso la Galleria Il Saggiatore. Roma 1992 – 2002; Futuribile – rassegna d’arte presso la Galleria Il Saggiatore . ROMA 2001; e molti i critici e i giornalisti che si sono occupati della sua attività artistica su diverse testate fra cui ricordiamo : “La Repubblica”; “L’Unità”; “Il Tempo”; “Il Messaggero”; “La Nazione”; “Ore 12”; “Paese Sera”; “Ecomond Press”.Articoli su arte club il corriere delle Madonie, cultura e costume, sipario, arte italiana per il mondo; Personale “Metamorfosi dell’oggetto” al Centro Culturale Aldo Fabrizi. Roma Aprile 2015 dagli esordi ai giorni nostri.

Stefania Severi (2018), “Rigenerazione”. Giulio Cavanna, genovese di nascita e romano di adozione, è un artista che si è imposto all’attenzione del pubblico fin dalle prime esperienze espositive nel 1977, sostenuto inizialmente a Genova dalla pittrice Arnalda Molfino poi, a Roma, da Nietta Ferantell del Centro Arbore Arte e Pensiero e da Carla Gugi, della Galleria Il Saggiatore, che l’hanno spinto a partecipare a mostre e concorsi con esiti positivi. Nel 2016, per celebrare i cinquant’anni di attività, la monografia “Giulio Cavanna Evoluzione nel tempo temi e forme”, pubblicata dalla Edilet di Roma, faceva il punto sul suo lavoro, evidenziando i vari periodi, dall’iniziale figurativo all’attuale materico. Ma quello che per molti artisti sarebbe stato un punto di arrivo è stato per lui di stimolo per portare avanti la sua ricerca sulla dialettica colore/forma/materia, una ricerca che è andata maturando negli ultimi anni e che ha avuto nel 2013 il suo battesimo ufficiale nella mostra, al Centro Elsa Morante di Roma Capitale, dal titolo “Colore Forma Materia”. Tutta le sua produzione, infatti, scaturisce d’ultimo dal dialogo serrato tra questi tre elementi, così che la forma, inizialmente ottenuta graficamente, si è andata sviluppando, grazie alla materia, in forme tridimensionali, dando vita ad una pitto-scultura. Eccoci dunque all’ultima produzione, post monografia, che racchiude lavori del 2017-18. Giulio Cavanna, con queste ultime opere, ribadisce la sua posizione nei confronti dell’arte e della vita che nella sua produzione innescano un dialogo serrato. Le sue composizioni, dense di colore e di materia, propongono visioni paesaggistiche (Natura ribelle), sensazioni (Evoluzione, Esplosione di gioia…), stralci di bella vita urbana (Serata al night), situazioni contemplative (Chiaro di luna), riflessioni sul dramma dei profughi (Mare rosso) … Ma dietro a queste composizioni c’è, da parte dell’artista, la volontà di sottolineare che questi “doni” che la vita ci offre sono minacciati dallo sfruttamento incontrollato dell’uomo. Ecco pertanto l’obbligo di “rigenerare”, di non limitarsi all’uso ma attivare un corretto riuso. Tutte queste composizioni contengono elementi che già furono altro, frammenti di materiali naturali ma soprattutto frammenti di materiali costosi e di difficile produzione, quali quelli in uso nell’alta tecnologia, ma anche questi soggetti allo scarto. L’opera di Cavanna ci invita a rifiutare la logica dello scarto in nome di una “rigenerazione” di ciò che sembra destinato all’eliminazione. Offrire la possibilità di una nuova vita, questo è il propositivo messaggio di Cavanna.

Giulia Sillato (2018-2019), “Il Metaformismo, L’arte contemporanea nelle antiche dimore Edizione 33 e 34”.

Vive e opera a Roma.
Si è trovato da giovane nella condizione di optare per una scelta esistenziale affine all’arte solo marginalmente, nel senso che trattare materiali destinati alla costruzione di organismi tecnologici non è attività lontata dal concetto di creazione. L’agenzia spaziale, in cui egli presta per anni il suo prezioso contributo tecnico e creativo, produce nel 1977 Sirio, acronimo di Satellite Italiano di Ricerca Industriale e Operativa, lanciato da Cape Canaveral, ma costruito in Italia, il primo satellite della sotira italiana interamente progettato e prodotto dalla nostra nazione.
Il caso dell’artista genovese, trapiantato a Roma, è un caso straordinario nella storia dell’arte contemporanea, verificandosi una singolare trasposizione in ambito artistico di una inclinazione professionale che artistica non è, ma che è stata trasfusa nell’arte proprio per quella creatività che le due professioni hanno in comune: il perito elettrotecnico e l’artista. L’arte al servizio della scienza in una condivisione di nature e scopi, come sosteneva Frantisek Kupka, il primo maestro dell’Astrattismo storico. A genova Cavanna ha appreso tutte le possibili tecniche pittoriche e l’uso dei materiali in pittura. Successivamente, sotto la guida di Bertrando Bigi, si è avvicinato alla conoscenza della storia dell’arte italiana e dei maestri che l’hanno rappresentata. L’entrata giovanile nel mondo artistico e la convinzione di non potersene mai più allontanare hanno agito da leva nei confronti delle sue attitudini artistiche, continuamente sperimentate nell’esercizio delle forme e dello spazio, complice la presenza intrigante di colori smaglianti. Muovendosi tra gallerie e Istituti Culturali MIBACT, ha sempre incontrato i favori del pubblico. Tra i numerosi e qualificati riferimenti bibliografici si cita il Catalogo dell’Arte Moderna dell’Editoriale Giorgio Mondadori.

Andrea Rossetti (2021): Sbagliano quanti credono che l’arte viva per sé stessa, da inconciliabile contenitore di situazioni parallele. L’arte in fondo ha più punti in comune con la nostra vita di quanto una sola opera non lasci intravedere, offre trame di situazioni formalmente auto-sostenibili capaci di travalicare l’appartenenza a correnti stilistiche, soggetti plausibili, l’assenza effettiva di veridicità. Esibisce realismo anche nel momento in cui s’incrocia l’astrazione più incontaminata, poiché se l’arte non produce manufatti rispondenti a semplici criteri di bontà estetica, se alla sua radice non serve solamente a coprire la posizione di “complemento d’arredo”, è un codice completo e dall’origine inconfutabilmente reale. Un’arte socialmente sintonica, completamente visuale ed eticamente impegnata, di cui Giulio Cavanna è capofila tra i più contemporanei. Forgiato sulla cruda realtà, ogni pezzo poetico di Cavanna è soggetto pittorico per problematiche da affrontare realmente. Più che adottare i modi della tecnica mista, Cavanna opta per un’effettiva ibridazione linguistica descrittivo-tattile, sovraccaricando il compito dell’artista, che non determina mai solo visione, ma una riedizione della praticità materica degli oggetti d’uso. Un’operazione contingentata alla quotidianità, introdotta ad un’artisticità che nell’ottica di Cavanna è opportunità imperdibile per fare il punto sui problemi della società attuale. Farlo senza retorica e senza inscenare giudizi universali, avanzando tesi, mutuando materiali utili ed integrandoli visivamente come pezzi di discorsi incapaci di parlarsi addosso. L’estetismo è un’intercessione alla posizione socialmente utile ricoperta dall’espressione artistica cavanniana, per una pittura capace di ricreare l’accanita azione visiva del memento mori, dell’Et in Arcadia ego alla Guercino, tramandandosi ai posteri come trapassato effetto di un presente già lontano. Rimodernando quel cliché secolare, ricordandone la gravità, Cavanna si appresta a lanciare il suo pesante sasso: il futuro lo costruiamo assieme e le sue incertezze/certezze sono merito nostro. Far tornare al blu un Mare rosso è più che mai sforzo comunitario.

da profili d’Artista – Percorsi d’Arte Contemporanea a cura di Mario Napoli
“Edizione Satura – Palazzo Stella Genova”

ALTRI CRITICI

Iolanda Dolce (La voce 2016)
Vito Tripi (Radio Vaticana 2012)
Angela la Ciano (Sipario 1994)
Vito Apuleo (Il Messaggero 1992)
Giuseppe Sarlo (Pronto? Qui Calabria 1982)
Saro Ocera (Gazzetta del Sud 1981)
Elisa Viviani (Cultura e costume 1980)
Giuseppe Forte (Corriere delle Madonie 1979)
Vito Nicola Rella (Arte Club 1978)